Gilberto, proprietario della Benetton Treviso, mette la parola fine al caso della penalizzazione della squadra di basket: "Torneremo ancora più agguerriti"
PONZANO VENETO (Tv), 17 maggio 2007 - Fuori dalla secentesca Villa Minelli, a Ponzano Veneto, ci sono i colori uniti della primavera della Marca trevigiana e del primo storico stabilimento Benetton, oggi quartier generale di un gruppo che fattura 8 miliardi di euro e ha una "popolazione" di 60.000 persone. Dentro l’ala sinistra dello splendido edificio, il viso di Gilberto Benetton, uno dei quattro fratelli fondatori dell’impero, non è allineato allo splendore della giornata. L’intervista è densa di aggettivi come "offeso, umiliato, macchiato, amareggiato, tradito", che tornano spesso a spezzare la conversazione, anche quando si supera il misfatto. Cioè la penalizzazione del Benetton basket di 15 punti, poi ridotti a 12 per un tesseramento irregolare. E la conseguente perdita dei playoff e dell’Eurolega l’anno prossimo.
Signor Benetton, avete minacciato di non fermarvi al verdetto della Camera di Conciliazione del Coni, ma di adire il Tar, cioè la magistratura ordinaria.
"Non credo più alla giustizia sportiva. Questa è giustizia politica. Mi sono fatto un’idea del nostro futuro e su chi ha emesso quel verdetto. Ma nonostante questo, rinuncio al Tar, proprio per non dare a questa gente l’ulteriore soddisfazione di discutere del caso. Non mi lamento, non voglio dare adito a dubbi e sospetti. Non ho mai cercato scambi col nostro ruolo nel movimento e nel sociale. Meglio chiudere qui la partita e che ognuno tragga le proprie conclusioni su ciò che è successo".
E qual è la sua?
"Aspettavamo una condanna: avevamo sbagliato e la meritavamo. Anche se l’episodio è avvenuto all’insaputa della società. Ma quella sentenza è suonata come una condanna a morte, per di più in tempi "chirurgici", cioè alla vigilia dell’ultima partita: un paio di nostre sconfitte in più sul campo e saremmo retrocessi. Penso che ci siano state pressioni per arrivare a questo. Per esempio di altri club concorrenti. In parte lo capisco: abbiamo vinto 3 scudetti negli ultimi 5 campionati, quest’anno supercoppa e coppa Italia. Siamo diventati ingombranti: si percepiva nell’aria. Meno comprendo le istituzioni sportive, con le quali il mio rapporto sarà diverso d’ora in poi. C’era sempre stato da parte nostra slancio, voglia di costruire. Non ho spirito di vendetta ma il segno di questa ferita resterà, mi sento tradito".
Lei ha messo in dubbio il futuro dell’impegno della famiglia nello sport.
"Una reazione del primissimo momento. La delusione è stata bruciante: non ho pensato a mollare, ma di sicuro a un ridimensionamento. Però la depressione è passata velocemente. Torneremo più agguerriti di prima. Per fare risultati. Certo dovremo rifare un po’ tutto. Lo staff organizzativo (allontanati Cirelli, il dirigente materialmente responsabile del tesseramento che ha dato origine al caso, e il g.m. Fadini, ndr), la squadra, forse l’allenatore: l’anno prossimo non saremo in Europa e noi non tratteniamo mai chi ha ambizioni e opportunità più grandi."
E’ per questo che ha seminato l’Europa e gli Stati Uniti di "benettoniani" che stanno facendo meraviglie...
"Certo. Un paio di mesi fa a Las Vegas, in occasione dell’All Star Game della Nba abbiamo fatto una specie di raduno fra noi trevigiani: D’Antoni, Bargnani, Garbajosa, Gherardini. Una meraviglia. E’ stato un momento divertente. Per non parlare di Messina e dei suoi successi col Cska Mosca. Mi piace: è come piantare le nostre bandierine in giro per il mondo. E non solo con i negozi".
A proposito di Bargnani, suo ex giocatore: si aspettava una stagione di questo tipo?
"Assolutamente no. Certo, sapevo che questo ragazzo aveva tutto per sfondare: altezza, agilità, fondamentali. Ma un impatto forte e tanto immediato non lo immaginavo io e forse nessuno. Sono stato a Toronto a trovarlo: è già un idolo. Quando sta per entrare, il Palazzo freme e poi esplode. Naturale: si dà da fare, lotta, è elegante e pure bianco...."
La sua passione per il basket proviene dal campo.
"Dai 14 ai 21 anni giocavo nella Duomo Folgore, la progenitrice della nostra società attuale. Non sono arrivato alla prima squadra nonostante i consigli di un grande come Gianni Giomo e ho smesso dopo il servizio militare: un legamento rotto cadendo da un rimbalzo".
Che tipo di gioco preferisce?
"Quello di D’Antoni, senz’altro: velocità e spettacolo. Anche Messina sa farlo, ma lui è più prudente e d’altronde ci vogliono i giocatori adatti".
A quali dei suoi giocatori è rimasto più affezionato?
"Sul piano tecnico, mai visto nessuno più forte di Toni Kukoc: un fenomeno. Sul piano personale, che sagoma Vinnie Del Negro! Anche lui bravissimo ma in più un vero scugnizzo che sapeva farsi voler bene".
Il suo gruppo ha un saldo radicamento nell’attività sul territorio e nel sociale, come nessuno in Europa: lo manterrà, nonostante tutto?
"L’altra mattina c’erano 4.500 ragazzini del rugby per il nostro Trofeo Topolino, abbiamo varato nel basket il "Join the Game", muovendo 35.000 ragazzi in tutta Italia, stiamo organizzando un Master per dirigenti. Le istituzioni che ci hanno condannato non si meritano tutto questo, però noi non lo facciamo per loro, ma per i giovani e per trasmettere valori importanti. La nostra presenza significa filosofia di vita e cultura. Continueremo, anche se oggi la tentazione di smettere è alta. In particolare l’organizzazione del nostro basket nazionale è angusta e ha orizzonti limitati. Tante volte abbiamo cercato di lavorare per uno sbocco alto, di qualità, ma con scarsi risultati: tutti cercano piuttosto risultati a brevissimo, non c’è lungimiranza".
Non ci sono troppi stranieri nel nostro campionato?
"Ha ragione, ma scarseggiamo di giocatori italiani di livello. L’attuale quota minima è giusta, noi ci muoveremo per valorizzare il nostro vivaio, per il quale siamo tornati a fare grandi investimenti. Giovani come Rullo potranno già sperimentarsi. Ma la linea comune dovrebbe essere internazionale: attualmente non siamo competitivi in Europa e continueremo a non esserlo, c’è troppo sbilancio nei budget fra noi e certe squadre russe o greche. Davo 600.000 euro all’anno a Siskauskas: potevo tenerlo quando il Panathinaikos gli ha offerto 1.3 milioni?"
Grande amarezza dal basket, ma in compenso da pallavolo e rugby stanno arrivando altri due scudetti.
"Incrociamo le dita: in qualche modo vorremmo proprio ripagarci. Per la finale del volley potremmo riempire un palazzo quattro volte più grande..."
I suoi giocatori dei vari sport fanno gruppo?
"Mi dicono che Bagnoli, il tecnico del volley, abbia seguito alla radiolina sul campo il risultato dei cestisti nell’ultima domenica: vanno volentieri a vedere il basket anche i rugbisti. Più difficile portare un "baskettaro" alla pallavolo: ci provavo con D’Antoni, ma mi si addormentava alle partite...".
Il calcio continua a non tentare la famiglia? Che impressione le ha fatto lo scandalo e i suoi strascichi?
"No, continueremo a tenerci lontani da questo sport. Una questione di differente cultura sportiva, tipo di tifo, compromessi, stile: non sono cose confacenti al nostro modo di essere. Lo scandalo? Troppi interessi: poteva succedere di tutto. Ed è successo. Chi gestisce non è più in grado di controllare, come sta accadendo nel ciclismo per il problema del doping. No, non mi sono meravigliato per lo scandalo. semmai per il ritardo nello scoprire come stavano le cose. Ma si rende conto? Al mio ex dipendente, Cirelli, hanno dato una squalifica di tre anni e 4 mesi, e a Moggi cinque: si può? Questa è giustizia sportiva?"l
PONZANO VENETO (Tv), 17 maggio 2007 - Fuori dalla secentesca Villa Minelli, a Ponzano Veneto, ci sono i colori uniti della primavera della Marca trevigiana e del primo storico stabilimento Benetton, oggi quartier generale di un gruppo che fattura 8 miliardi di euro e ha una "popolazione" di 60.000 persone. Dentro l’ala sinistra dello splendido edificio, il viso di Gilberto Benetton, uno dei quattro fratelli fondatori dell’impero, non è allineato allo splendore della giornata. L’intervista è densa di aggettivi come "offeso, umiliato, macchiato, amareggiato, tradito", che tornano spesso a spezzare la conversazione, anche quando si supera il misfatto. Cioè la penalizzazione del Benetton basket di 15 punti, poi ridotti a 12 per un tesseramento irregolare. E la conseguente perdita dei playoff e dell’Eurolega l’anno prossimo.
Signor Benetton, avete minacciato di non fermarvi al verdetto della Camera di Conciliazione del Coni, ma di adire il Tar, cioè la magistratura ordinaria.
"Non credo più alla giustizia sportiva. Questa è giustizia politica. Mi sono fatto un’idea del nostro futuro e su chi ha emesso quel verdetto. Ma nonostante questo, rinuncio al Tar, proprio per non dare a questa gente l’ulteriore soddisfazione di discutere del caso. Non mi lamento, non voglio dare adito a dubbi e sospetti. Non ho mai cercato scambi col nostro ruolo nel movimento e nel sociale. Meglio chiudere qui la partita e che ognuno tragga le proprie conclusioni su ciò che è successo".
E qual è la sua?
"Aspettavamo una condanna: avevamo sbagliato e la meritavamo. Anche se l’episodio è avvenuto all’insaputa della società. Ma quella sentenza è suonata come una condanna a morte, per di più in tempi "chirurgici", cioè alla vigilia dell’ultima partita: un paio di nostre sconfitte in più sul campo e saremmo retrocessi. Penso che ci siano state pressioni per arrivare a questo. Per esempio di altri club concorrenti. In parte lo capisco: abbiamo vinto 3 scudetti negli ultimi 5 campionati, quest’anno supercoppa e coppa Italia. Siamo diventati ingombranti: si percepiva nell’aria. Meno comprendo le istituzioni sportive, con le quali il mio rapporto sarà diverso d’ora in poi. C’era sempre stato da parte nostra slancio, voglia di costruire. Non ho spirito di vendetta ma il segno di questa ferita resterà, mi sento tradito".
Lei ha messo in dubbio il futuro dell’impegno della famiglia nello sport.
"Una reazione del primissimo momento. La delusione è stata bruciante: non ho pensato a mollare, ma di sicuro a un ridimensionamento. Però la depressione è passata velocemente. Torneremo più agguerriti di prima. Per fare risultati. Certo dovremo rifare un po’ tutto. Lo staff organizzativo (allontanati Cirelli, il dirigente materialmente responsabile del tesseramento che ha dato origine al caso, e il g.m. Fadini, ndr), la squadra, forse l’allenatore: l’anno prossimo non saremo in Europa e noi non tratteniamo mai chi ha ambizioni e opportunità più grandi."
E’ per questo che ha seminato l’Europa e gli Stati Uniti di "benettoniani" che stanno facendo meraviglie...
"Certo. Un paio di mesi fa a Las Vegas, in occasione dell’All Star Game della Nba abbiamo fatto una specie di raduno fra noi trevigiani: D’Antoni, Bargnani, Garbajosa, Gherardini. Una meraviglia. E’ stato un momento divertente. Per non parlare di Messina e dei suoi successi col Cska Mosca. Mi piace: è come piantare le nostre bandierine in giro per il mondo. E non solo con i negozi".
A proposito di Bargnani, suo ex giocatore: si aspettava una stagione di questo tipo?
"Assolutamente no. Certo, sapevo che questo ragazzo aveva tutto per sfondare: altezza, agilità, fondamentali. Ma un impatto forte e tanto immediato non lo immaginavo io e forse nessuno. Sono stato a Toronto a trovarlo: è già un idolo. Quando sta per entrare, il Palazzo freme e poi esplode. Naturale: si dà da fare, lotta, è elegante e pure bianco...."
La sua passione per il basket proviene dal campo.
"Dai 14 ai 21 anni giocavo nella Duomo Folgore, la progenitrice della nostra società attuale. Non sono arrivato alla prima squadra nonostante i consigli di un grande come Gianni Giomo e ho smesso dopo il servizio militare: un legamento rotto cadendo da un rimbalzo".
Che tipo di gioco preferisce?
"Quello di D’Antoni, senz’altro: velocità e spettacolo. Anche Messina sa farlo, ma lui è più prudente e d’altronde ci vogliono i giocatori adatti".
A quali dei suoi giocatori è rimasto più affezionato?
"Sul piano tecnico, mai visto nessuno più forte di Toni Kukoc: un fenomeno. Sul piano personale, che sagoma Vinnie Del Negro! Anche lui bravissimo ma in più un vero scugnizzo che sapeva farsi voler bene".
Il suo gruppo ha un saldo radicamento nell’attività sul territorio e nel sociale, come nessuno in Europa: lo manterrà, nonostante tutto?
"L’altra mattina c’erano 4.500 ragazzini del rugby per il nostro Trofeo Topolino, abbiamo varato nel basket il "Join the Game", muovendo 35.000 ragazzi in tutta Italia, stiamo organizzando un Master per dirigenti. Le istituzioni che ci hanno condannato non si meritano tutto questo, però noi non lo facciamo per loro, ma per i giovani e per trasmettere valori importanti. La nostra presenza significa filosofia di vita e cultura. Continueremo, anche se oggi la tentazione di smettere è alta. In particolare l’organizzazione del nostro basket nazionale è angusta e ha orizzonti limitati. Tante volte abbiamo cercato di lavorare per uno sbocco alto, di qualità, ma con scarsi risultati: tutti cercano piuttosto risultati a brevissimo, non c’è lungimiranza".
Non ci sono troppi stranieri nel nostro campionato?
"Ha ragione, ma scarseggiamo di giocatori italiani di livello. L’attuale quota minima è giusta, noi ci muoveremo per valorizzare il nostro vivaio, per il quale siamo tornati a fare grandi investimenti. Giovani come Rullo potranno già sperimentarsi. Ma la linea comune dovrebbe essere internazionale: attualmente non siamo competitivi in Europa e continueremo a non esserlo, c’è troppo sbilancio nei budget fra noi e certe squadre russe o greche. Davo 600.000 euro all’anno a Siskauskas: potevo tenerlo quando il Panathinaikos gli ha offerto 1.3 milioni?"
Grande amarezza dal basket, ma in compenso da pallavolo e rugby stanno arrivando altri due scudetti.
"Incrociamo le dita: in qualche modo vorremmo proprio ripagarci. Per la finale del volley potremmo riempire un palazzo quattro volte più grande..."
I suoi giocatori dei vari sport fanno gruppo?
"Mi dicono che Bagnoli, il tecnico del volley, abbia seguito alla radiolina sul campo il risultato dei cestisti nell’ultima domenica: vanno volentieri a vedere il basket anche i rugbisti. Più difficile portare un "baskettaro" alla pallavolo: ci provavo con D’Antoni, ma mi si addormentava alle partite...".
Il calcio continua a non tentare la famiglia? Che impressione le ha fatto lo scandalo e i suoi strascichi?
"No, continueremo a tenerci lontani da questo sport. Una questione di differente cultura sportiva, tipo di tifo, compromessi, stile: non sono cose confacenti al nostro modo di essere. Lo scandalo? Troppi interessi: poteva succedere di tutto. Ed è successo. Chi gestisce non è più in grado di controllare, come sta accadendo nel ciclismo per il problema del doping. No, non mi sono meravigliato per lo scandalo. semmai per il ritardo nello scoprire come stavano le cose. Ma si rende conto? Al mio ex dipendente, Cirelli, hanno dato una squalifica di tre anni e 4 mesi, e a Moggi cinque: si può? Questa è giustizia sportiva?"l
NON LASCIARE MAI CHE LA PAURA DI PERDERE TI IMPEDISCA DI PARTECIPARE!!!